Indice dei racconti   [16]

Alois Braga ha scritto numerosi racconti brevi e un solo romanzo, anche se lui non ha mai osato definirlo tale. Poco prima di morire pubblica on line Aveva quasi smesso di piovere, un racconto lungo a più movimenti: forse il migliore, certamente quello della maturità.

L’aspetto più straordinario del suo stile è sicuramente l’eredità che ci lascia in termini di compassione, nel significato buddista del termine. Così come ci sorprende sempre, in lui, la capacità impressionante di restituirci a volte uno sguardo malizioso, mordace, tormentato, al limite della violenza, e altre volte così puro e innocente che induce alla commozione. E’ un sentire la scrittura, quello di Alois Braga, per il quale dovremmo tutti essergli grati in qualche modo.


  Le opere di Alois Braga

Questo racconto è tratto dall'e-book:
GLI ULTIMI
I migliori racconti di Alois Braga
[ISNC-002/RA]

 

IL TIPO DEL TAVOLO ACCANTO

Racconto di Alois Braga

 

"Si ricordava tutto ma non il nome.
Si ricordava anche il profumo che aveva. Ma il nome no."
[Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia]


«C'è sempre un altro migliore di te, un tizio che ti fa star meglio e un altro che ti fa star peggio. Un nemico da combattere, un centro fitness del cazzo che migliora la qualità della vita, un coglione che prepara con cura le mosse per farti lo sgambetto... Ecco perché, quella di mandare affanculo è una delle missioni speciali che ci restano.

«Passione per la vita? Stronzate, ecco cosa sono! Energie, emozioni a tinte forti spacciate come anfetamine agli angoli delle strade solo per il gusto di fottere le persone. Feste dai toni aranciati, euforie da sballo surrogate. Passioni intense per la vita nelle sue varie forme, sublimate dal gustoforte della trasgressione, un po' sullo stile gli manca il coraggio di agire.

«Uno dei paradossi che mi sono chiari del mondo della comunicazione, è la mancanza di comunicazione. Proprio così, amico mio... mancanza di comunicazione!

«Quando avevo dieci anni appena, mia madre lasciò mio padre. E andò a convivere con una donna che aveva incontrato al supermercato. Prima di allora mia madre non aveva mai espresso alcun desiderio, si era semplicemente adattata tollerando ogni cosa. Quando decise di ribellarsi a mio padre, non lo fece apertamente. Lo fece in silenzio, senza spiegazioni, così come aveva vissuto in casa. E così avrei dovuto fare anch'io. Ma non potevo lasciare solo mio padre... Anche se la sua miseria mi atterriva, avevo paura di perdere anche lui.

«Mi manca il coraggio di agire? Non so. Forse. Vero è che trovo sempre più difficile abbattere il muro delle troppe realtà spacciate per serie. Voglio uscire dalla kermesse di chi si accontenta di maghi e fattucchiere, imbonitori da televendita dipendenti, degli sconti 3xw2, delle idiozie di una pubblicità stile merendine biologiche vogliamoci tutti un sacco di bene, della incapacità di cambiare aria, della apatia di nuovi stimoli... Paralizzato nella noia di un vociare insignificante!

«Quello che mi frega è la mancanza di fiato, la non tenuta sulla distanza. Il non mettere a fuoco quelle che sono le mie percezioni sul momento, sempre oscillanti sull'orlo sfuocato dell'abisso. Le passioni più potenti sono quelle che tendono ad essere le più umane (me lo chiedo o me lo impongo?): mi rassicurano, mi scioccano spesso, a volte mi ispirano, quasi sempre mi fanno piangere o al contrario crepare dal ridere... Ma mi hanno rotto il cazzo, però! Sì, mi sono proprio stufato di essere preso per i fondelli anche dalle passioni... Icone di uno scenario ormai sfuggente!

«Un fighetto da passerella , giusto un tipo alla Kalvin Clain come te, una notte mi disse che se hai il coraggio di metterti a nudo in una stanza con cinque sconosciuti -chissà perché cinque e non uno di più né uno di meno?- e scambiare e godere delle cose che si stanno facendo... Be', se hai questo fottutissimo coraggio, mi disse, da questo tipo di atteggiamento possono cambiarti molte cose. Va be', però vaffanculo! Dico io.»

Poi di colpo, egli smise di parlare. Là di fronte a me, seduto a quel tavolo accanto, in quel bar di stazione a quell'ora poco affollato. Lo guardai attento, la fronte aggrottata, quel tizio che non avevo mai visto prima - un ragazzo suppergiù della mia stessa età - mentre stava lì a giocare nervosamente con la sigaretta tra le dita ingiallite dalla nicotina. Alla fine l'accese, e soffiò lentamente verso l'alto una nuvoletta di fumo blu.

Stava per ricominciare a parlare, o forse avrebbe voluto, ma arrivò l'uomo del bar a portarci le due birre. Iniziò a bere la sua, e dopo un po' la finì, tra un tiro e l'altro di sigaretta. Quindi si lasciò andare a un sorriso. Durò giusto un secondo, ma contribuì ad alleggerire l'atmosfera. Probabilmente c'era una significato, in quel gesto quasi impercettibile, ma allora non riuscii a capire quale. Poi rimanemmo un po' in silenzio, perché lui diceva più niente ed io non avevo nulla da dire.

A quel punto, con l'altoparlante, fu annunciata la partenza di un treno.
Egli si alzò quindi in piedi, lentamente. Io sollevai lo sguardo. Sentii le labbra muoversi spontaneamente come volessero spingermi a parlare, ma non una parola uscì dalla mia bocca. Ancora una volta. Neppure un mugolio insignificante.
Allora prese la sua roba guardandosi intono con calma. E, dopo avermi salutato con un cenno del capo, e un altro dei suoi impercettibili sorrisi, si avviò verso l'uscita.

Io rimasi là, al tavolo, nella penombra di quell'angolo del locale, ad osservarlo in silenzio andar via. Lo seguii con lo sguardo anche fuori del bar, attraverso le grandi vetrate, mentre si allontanava camminando con una eleganza innata, fino a quando lo vidi scomparire su per la scala mobile.

Non lo rividi più! Sono difficili da capire, certi momenti. E dio sa quanto mi sarebbe piaciuto davvero averlo potuto incontrare di nuovo per raccontargli quello che non riuscii a dire quella sera.

Il suo compagno di stanza lo trovò due giorni dopo con un proiettile nella testa. Nudo a faccia in giù nel letto sfatto della loro camera. Nella mia stessa casa albergo per studenti.

 

 

 
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