[TERZA EDIZIONE • MARZO 2009]  
 

La Terza Edizione del Premio è andata purtroppo praticamente deserta.
Forse per la complessità del tema ("il sentirsi gay" in tutte le possibili accezioni), o forse per nostri errori di valutazione; senza fare della inutile dietrologia così è stato, e ne prendiamo atto. Quello che segue è il racconto vincitore.

 
     

 


 
[PAB/2009-01]

La bomba
di Guido Marinelli

I ferri della calzamaglia le caddero a terra: l’anziana signora aveva uno sguardo scioccato.
Un uomo si alzò dal posto, puntando il dito verso il centro dello studio televisivo.
“Ha una bomba!”
Tutti tacquero ipnotizzati da quello strano figuro: egli mostrava i risvolti dell’impermeabile camosciato, tappezzato di candelotti.
Il regista dall’altra stanza sudava freddo. Voleva una bomba per lo show. Ma non quel tipo di bomba! Tracannò il suo caffè, tra la paura generale, pensando come gestire una tale situazione. Un uomo con una bomba al centro degli Studi.
“Fermo immagine! Ora fai entrare… che so… una musica commovente. Fai salire gli archi… e speriamo nel buon Dio…”

Casa Del Porto, tre mesi fa.

“Mamma… papà… devo dirvi una cosa.”
Il dottor Del Porto sporse la testa fuori dal giornale. Eccolo che vuole i soldi per truccare il motorino, un’altra volta, pensava sconsolato.
“Marmitta nuova?”
“Cambiata l’altra volta…”
“Areografie?”
“No…”
“Benzina?”
“Fatta oggi…”
“Cinema?”
“Già andato…”
“Pizza?”
“Non ne ho voglia…”
“Regalo alla ragazza?”
Carlo scosse la testa sconsolato.
“Papà… sono ehm…. confuso… sono… sono… sono omosessuale…”
Non vi è mai capitato che vostro figlio vi chiedesse come nascessero i bambini? O quale fosse la funzione di quelle ragazze alla fermata dell’autobus?
La mamma fece cadere un piatto per terra. Il padre si masticò il sigaro che teneva in bocca.
“Ma… ma… è bellissimo…” sorrise lei, andando ad abbracciare il figlio. Anche il padre lasciò il giornale e si avventò sul ragazzo.
“Per noi vai bene così come sei… ti vogliamo bene figlio mio.”
L’abbraccio fu dei più calorosi. Ma dei più ipocriti. Senza farsi vedere i due genitori negli occhi.
Avevano un figlio gay. E sapevano cosa significasse.
Carlo guardava la finestra, con i suoi occhi teneri e acquosi.

Con quegli stessi occhi, Carlo fissava il pubblico nello studio. Brandiva in mano un detonatore. Premuto un tasto, tutto sarebbe esploso in aria.
Iniziò ad urlare: “Sono Carlo del Porto. Ho diciassette anni e una bomba sotto la giacca. Ascoltatemi…”
Dalla sala comandi il regista sudava freddo. Goccioline di sudore gli rigavano la fronte. Si tolse gli occhiali.
“Prova… prova…” balbettava incerto, la scelta era questione di vita o di morte. “Metti ora quel filmato sullo schermo. Dobbiamo stemperare gli animi…”
Carlo si voltò e si ammirò nel filmato sullo schermo.
Non era proprio lui sullo schermo, era un attore, un sosia improvvisato. Capelli corti, orecchini di perla, occhi verdi, fisico atletico leggero. Si avviava per i corridoi di una scuola. Tutti si inchinavano per riverirlo. Anche i bulli che gli avevano sempre causato problemi gli si avvicinarono salutandolo apertamente. Poi i professori. I compagni. Le persone della sua piccola città. Tutti a salutarlo con i loro bei sorrisi.
Poi sullo schermo ancora si vide, nel suo appello al mondo intero di internet, pubblicato su YouTube. Carlo vide se stesso accendere la webcam, sedersi, salutare e poi proferire: “Sembra che io sia destinato all’estinzione. Mi trattano come un panda, quasi impauriti di potermi fare male. Mi sorridono come se fossi un grave malato, falsamente consapevoli che possa morire. Lo vedo… lo vedo nei vostri occhi, come mi salutate… come mi guardate, come mi parlate. Questo buonismo mi fa paura. E’ razzismo. Il fatto che io sia omosessuale non significa che io non sia come voi… Voglio essere trattato… così… come tutti quanti…”

Il presentatore scese correndo dal pubblico, esibendosi in sei metri di scivolata. Arrivò fino a Carlo, si alzò poggiandosi sulla sua spalla, sommerso dagli applausi. I folti capelli biondi tirati dietro luccicavano insieme alla giacca laccata viola.
“Benvenuti a ‘LA BOMBA’, il talk show senza peli sulla lingua.”
Egli allargò le mani, inalando a profondo le urla della gente.
Carlo, come previsto da copione, premette il bottone del detonatore. Il centro della sala si riempì di fumo.
“Un applauso ai nostri ospiti.”
Il presentatore spostò una banchina di fumo: si alzò una poltrona con uno signore smilzo, dalla mano tempestata di anelli d’oro, che reggeva un bastone d’avorio.
“…Il monsignor Giuseppe… Rograzzoli.” Il colletto e la mitra confermavano la sua santità. Salutò benedicendo la folla con tre dita. Un folto gruppo di casalinghe teocon svenirono.
“Chi sento… oh mio dio… non ci credo. E’ qui con noi, direttamente dal Parlamento, onorevole Frantini.”
Applausi e fischi per la donna rossa dal fare autoritario, che troneggiava alla destra del vescovo.
“Laggiù, sempre dal Parlamento, uno dei leader più importanti della politica, onorevole Russini.”
Sprofondato tra sedia e applausi, un tipo pingue e dalla barba grigia salutò la folla con fare serio.

“Grazie a tutti. Ora iniziamo con il nostro programma… allora…”
Qualcuno dietro al presentatore tossicchiò.
Si girò, poi con un largo sorriso, si premette la mano sulla fronte.
“Come abbiamo potuto dimenticare lui… Carlo Del Porto…”
Carlo avanzò, stringendo le mani degli ospiti, andandosi a sedere alla destra del cardinale, che però fece finta di non vederlo.
Partì uno stacchetto musicale strappalacrime.
“Omosessualità nel XXI secolo. Come si comporta le gente con chi reputa diverso? In particolare con un gay? E come vivono loro?” Il presentatore si avvicinò sempre di più al pubblico, allargando platealmente le braccia. “Qualcosa è sbagliato, molti di noi hanno fatto delle scelte sbagliate. E i diversi risentono delle nostre scelte. Due giorni fa è stato pubblicato il video di un ragazzo, Carlo Del Porto, inviato a tutte le sedi dei giornali. Lui vuole portare avanti la sua battaglia. Contro la diversità. Con grande piacere abbiamo potuto invitarlo nei nostri studi per raccontarci la sua esperienza. Ciao Carlo.”
“Buonasera a tutti.”
“Come mai questa scelta?”
“Quale scelta?”
“Quella di essere gay…”
“Io… veramente…” Carlo si sentiva in imbarazzo.
“Ma perché ti piacciono i maschi, tutto qui…” Il presentatore tirò giù risate dal pubblico, poi ristabilì la calma.
“Quando hai scoperto della tua malattia?”
“Malattia?” A Carlo si rizzarono i capelli. Il monsignor alzò il dito…
“Scusi, io azzarderei anche un altro termine. Perversione o deviazione morale etica…”
“Castrazione chimica…” Bofonchiò la rossa sulla poltrona… intanto il barbone stava iniziando a socchiudere gli occhi per il sonno.
Carlo urlò per riacciuffare l’attenzione del pubblico. “Non ho mai scoperto di avere… uhm… tale malattia. Mi sento solo confuso… relazioni intime con uomini o donne, io non l’ho mai capito cosa voglia veramente… Ultimamente mi sento direzionato verso l’altra sponda…”
“I tuoi genitori come l’hanno presa?”
“Bene…”
“Deviati anch’essi… per loro non si prospetta che la dannazione eterna.” Scosse il capo il Monsignore.
“E i tuoi amici?”
“Mi sono stati sempre vicini.”
“Come è vivere come omosessuale?”
“Cioè… insomma… è un’esperienza buona ma strana… però…”
La rossa imprecò: “Scusi… in questa società non sono rispettati più i valori della nazione, della famiglia, del rispetto della patria e della mascolinità e del ruolo dell’uomo e della donna. Come fa un omosessuale a vivere bene, se vive così…”
L’uomo barbuto si risvegliò: “Senta un omosessuale per me va trattato così, come…” Si bloccò. Prese il cellulare, rispose, mormorando seccato. Poi spense tutto, dopo aver guardato il monsignore. “Per scelte politiche e di partito non posso lasciare questo tipo di dichiarazioni, perché la fazione cattolica del mio partito me lo impedisce. Ma, dato che ormai siamo abituati a litigare, sono certo che un omosessuale va trattato bene.”
Il presentatore allungò la mano per fermare i brusii di tutti. “Allora se ti trattano così bene, perché hai deciso di alzare tutto questo polverone? Di spedire il filmato che abbiamo appena visto sulla rete e poi a tutti gli uffici stampa?”
“E’ perché ho paura. Paura, perché sembra che io sia totalmente diverso da tutti, che per il mio stato di confusione debba essere trattato un gradino sopra gli altri. Fa piacere all’inizio, ma poi diventa brutto sentirsi raccomandati per qualsiasi cosa, sentire che gli altri siano imbarazzati dalla tua presenza, dalla tua diversità. Sono orrendi i sorrisi ipocriti della gente, rivolti a te come un malato terminale. Io sono solo confuso. Io voglio essere trattato per quello che sono. Un ragazzo di diciassette anni. E da omosessuale voglio dire che vogliamo essere trattati così. Né troppo male né troppo bene. Come stanno facendo esageratamente con me.”
“Quindi tutti ti trattano esageratamente bene?”
“Fin troppo. E io non voglio. Io voglio essere come tutti gli altri. Questa cosa ti fa sentire diverso, un gradino più basso di tutti, mi fa sentire dotato di un handicap. Io sono un ragazzo normale. Ognuno è diverso per qualcosa, ma andiamo trattati tutti per quello che siamo.”
“Tranne i negri…” Si lasciò sfuggire la donna sulla poltrona…
“E i comunisti…” Tre parole che uscirono precise e dettagliate dalla bocca del monsignore.
“Ma io non ti capisco…” Intervenne il signor barbuto. “Abbiamo lottato per agevolarvi nella ricerca di posti di lavoro, leggi in vostro favore, siete sopra e vi lamentate pure? Cioè ci avete impietosito per anni e anni con i vostri gay pride e ora vi lamentate che vi trattiamo troppo bene? Roba da pazzi.”
“Dal vangelo secondo Matteo, ‘e il signore fulminerà tutti senza distinzioni, che siano comunisti o culattoni.’ E’ la parola di Dio. Quindi preparatevi alla dannazione eterna.”
“Castrazione chimica, è quello che ci vuole…” risuonò la rossa, sommersa tra gli applausi.
Carlo si rintanò nella sua poltrona. Chiamare la stampa e la politica per il suo caso era stato un errore. Si sentiva ancora di più un esperimento, una cavia, strumento di discussioni senza né filo né coda. Cosa ne potevano sapere loro di quello che pensava lui? Nessuno provava un po’ di empatia verso Carlo?

Sette giorni dopo, il dibattito non era ancora finito, anzi Carlo era stato invitato ad altre trasmissioni televisive. Il governo attuale stava attuando una legge sui gay, l’opposizione vi si opponeva, il presidente tentava invano di riportare la calma, la stampa sciacallava ogni tipo di informazioni a conoscenti dei conoscenti di Carlo, i paparazzi lo spiavano ovunque.
Quel giorno però non volle entrare subito negli studio. Si accoccolò su una panchina. Un uomo in giacca di pelle gli si avvicinò: era abbastanza alto e aveva gli occhi lucidi. Sembrava attento alle mode, per i suoi pantaloni strappati e le sue scarpe essenzialmente lucide. Gli porse la mano.
“Jack Richard.”
“Carlo Del Porto.”
“Che nome poco elegante.” L’uomo sorrise tra sé e sé. “Anche io avevo un nome comune. Marco Brocchi. Pure brutto. Ricordo solo di averlo cambiato per le trasmissioni. All’inizio ero un tipo come te, lo sai?”
“Gay?”
“No, diverso dagli altri. Non ricordo bene il motivo, forse ero un attore in disgrazia, o un bambino già padre… la mia diversità era il mio problema. E io volevo essere rispettato come qualunque altro coglione sulla faccia della terra.”
“So come ti senti.”
“Poi ho chiamato la Tv, e sono iniziati guai veramente grossi. Giornalisti, discussioni politiche, scandali... e non ho mai risolto il mio problema. Anzi, resto più diverso degli altri.”
Carlo si limitò a fissare un gatto scalciato dietro un cespuglio.
“Vedi quello? E’ un paparazzo appostato… li riconosco dall’odore. Ci fai l’abitudine al loro profumo scadente. Mi ricorda il successo improvvisato, il sensazionalismo inutile. Dopo un po’ diventa una droga. Anche se vuoi scappare da loro, farai di tutto per ricevere le loro attenzioni, diventare fenomeno da baraccone. Però ti pagano bene.”
“Ma io non voglio essere così…”
“Ascoltami, sei omosessuale, sei un diverso, o ti trattano sommerso di allori o bagnato di kerosene. Tanto vale aspirare al successo. Vuoi provare?”
“Cosa.”
Jack prese una scatola di sigarette dal taschino. Lo aprì e ne estrasse una canna, a giudicare dall’odore. La alzò verso il cespuglio, poi fece un giro intorno a sé stesso.
Ovunque partirono i flash dei paparazzi.
“Aspettate, è crack!” Urlò contento Jack.

Dopo qualche ora i servizi su Jack Richard e Carlo Del Porto erano in bella vista su tutti i siti scandalistici, e il giorno dopo l’argomento venne discusso da signore civettuole in un talk show.
Guardandosi nello schermo, fotografato nell’attimo in cui Jack estraeva la canna, Carlo si lasciò cadere sul divano. Avevano intitolato lo scoop: ‘LA BOMBA’.
Fissò il servizio d’argento malinconicamente.
Poi la targhetta, attaccata proprio sopra il televisore.
‘La legge è uguale per tutti.’ Lesse. Scosse la testa.
Ma alcuni sono più uguali degli altri, aveva fatto aggiungere il padre.

 

 
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