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RICORDO il 24 dicembre del 2006. Niente è più triste di una vigilia di domenica, pensai. Il mio cane dormiva profondamente, accovacciato vicino a me. Il plaid squamava giù in fondo al divano. E come in una sorte di apparente premonizione, sembravo rimanere in attesa di quello che di lì a poco sarebbe successo. Mi alzai e mi avvicinai alla finestra che dava sulla strada. Il marciapiede iniziava a imbiancarsi, le luci dei negozi a colorarsi. Tutto era così maledettamente prevedibile. Guardavo le persone che si muovevano, e cercavo di immaginare i loro desideri. Mi riusciva difficile scacciare l'idea che forse il tempo erode anche i dubbi. Anche la vigilia di Natale. Eppure non ci saremmo mai ritrovati io e lui, se in mezzo non ci fossero state altre vigilie di Natale e il trascorrere del tempo. Mi era bastato vederlo di sfuggita, anni prima, entrare nel mio campo visivo. Provai un tonfo al cuore. Quella sera tornammo a casa insieme, come due amanti, invece ci eravamo appena incontrati. Com'era quella frase di Oscar Wilde? Che la bellezza delle emozioni è che ci fanno smarrire. Mi voltai verso il divano. Il mio cane era ancora là, accovacciato. Mi bloccai un attimo a osservarlo. Era immobile. Mi avvicinai per accarezzarlo e sentirne il respiro. Il suo calore mi rincuorava. Il sangue riprese lentamente a diffondersi in tutto il mio corpo. Ero stanco di cercare il comportamento idoneo al raggiungimento di ogni scopo. Lasciai allora che la visione andasse in dissolvelza, e poco dopo mi appisolai. Mi ripresi dal torpore quando sentii la lingua ruvida del mio cane leccarmi il viso. Era già sera. La stanza era illuminata appena dalle luci fuori della strada e i rumori mi giungevano ovattati e misteriosi. Intravidi che nevicava ancora. Provai un certo scoramento. Fu in quell'istante che mi accorsi di tremare. Adesso il mio cane scodinzolava, e mi fissava immobile al centro della stanza. In strada le voci si trasformarono in un tintinnare quasi misterioso, come in un sogno senza parole. Rimasi ad ascoltare. Forse, alla fine, quella sera sarebbe potuta diventare una vigilia qualunque. Ma non lo fu. Afferrai il cellulare. Selezionai la posta in arrivo e lessi la seconda parte del messaggio. Forse il mondo è una ferita e noi la stiamo ricucendo nei nostri corpi che si mescolano, e insieme diventiamo mani e pelle e labbra e sesso e sapore e desiderio, perfino tristezza, ma quando lo racconteremo diremo una sola parola, diremo: amore. Mi avvicinai di nuovo verso la finestra. Rimasi a guardare fuori. Adesso aveva smesso di nevicare. Alcune persone si attardavano per strada a scambiarsi forse gli ultimi auguri, e guardare le vetrine dei negozi nonostante il freddo. Ed è solo in quel momento che mi resi conto che era Natale di nuovo. Già, Natale. La memoria di un Dio che si è reso alla nostra portata, per aiutarci a cogliere il senso del mistero della vita, e ogni volta farci stupire di quanto tutto questo sia insieme immenso e fragile nella sua complessità. Il cellulare vibrò nella mano. Questa volta sobbalzai. Sentii la schiena spezzarsi e la mente sbiancare. Era la sorella, mi stava chiamando dal pronto soccorso del Sant'Orsola di Bologna. Lui aveva avuto un incidente in autostrada, un brutto incidente.
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