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A mio nonno Angelo A MIO nonno Angelo, il padre di mio padre, piaceva stare davanti al fiume, in quel tratto di Po. Sentirlo scorrere nella sua lentezza estiva e annusare i profumi della boschina, quella nicchia di terra riparata del fiume e avvolta nel mistero. «Questa è la riva del fiume, il grande fiume.» Mi disse un pomeriggio. «E’ il luogo che ci fa esistere.» «Allora ascolta bene, nano. Tu devi guardare dopo la boschina e quando vedi una petroliera, me lo dici. Capito, nano?» «Nano…» fa mio nonno, accendendosi una sigaretta. «Nano non fissare troppo. Rovina la vista. Per non parlare del resto. La senti dal rumore quando passa la petroliera…» «Lo sai, nano…» continuò mio nonno dopo un bel po’, «che là in fondo nella boschina, tra gli olmi e le querce e i pioppi, ci abita il diavolo?» «Proprio lui, il diavolo…» riprese mio nonno, con voce lenta e resa rauca dal troppo fumare. Io stavo in silenzio. Stavo lì con gli occhi aperti, a fissare mio nonno. «Sai, nano…» disse poi mio nonno. «Dove il diavolo mette un piede, zac, spunta un pioppo. Per questo sono tanti i pioppi che ci sono nella boschina. Sono i passi del diavolo. Uno più grande dell’altro… Senti il rumore dei passi tra i pioppi… Eh, lo senti, nano?» Rimasi in silenzio, là a tendere le orecchie per sentire quella voce che mio nonno chiamava per nome. Silenzio. Dopo mio nonno si accese con uno svedese l’ennesima sigaretta. E disse: Più avanti diventando grande, piano piano mi resi conto che cosa avesse voluto dire mio nonno, là quella volta e le altre ancora, con la storia del diavolo, che non esiste ma che c’è, e del tempo che gli dava affanno. Il tempo che ci avvolge e ci sovrasta come la paura del diavolo. Il tempo senza tempo, quello che ci precede e ci segue; ma anche il tempo dell'umiltà, quello dell'ascolto. Il tempo che ci accompagna nei giorni. Il tempo della morte. «Nonno Angelo?…» dissi a voce bassa. «Ma ci rimaniamo tutto il pomeriggio, qua?» Silenzio. «Dài nano, adesso andiamo…» disse mio nonno quando finì la sigaretta. Si aggiustò il cappello in testa. «La nonna sarà in pensiero. Ma non dirgli che siamo venuti in boschina, se no la sbraita.» A me piaceva tornare a casa con la barca, verso sera. Remare insieme a mio nonno Angelo. Mi sentivo grande. E anch’io esistevo, perché era il fiume a volere così. Ancora adesso, appena posso e quando ho bisogno di sentire che anch’io esisto per davvero, ritorno in boschina e guardo il fiume. Anche se ora è cambiato ed è un’altra cosa. A volte mi pare persino di sentire la voce di mio nonno Angelo che mi racconta ancora del diavolo, della vecchina e poi la voce del diavolo, che “soffia forte e si mette a correre e a correre tra un pioppo e l’altro, su e giù per la boschina…”.
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