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  Gabriele Zedde
  Come un raglio che piange
Romanzo [60] [Romanzo - seconda parte]
     
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Uscita di scuola. Ore 16.00.

S'accalcano al cancello d'ingresso le poche classi rimaste. Per tre pomeriggi a settimana, i corsi D, C e O rimangono a scuola per il tempo prolungato, svolgono attività di "laboratorio" come ceramica, teatro, musica e via dicendo. Amalia, s'assicura che tutti siano usciti. Chiude il cancello e attraversa il cortile per rientrare a scuola. Il suo turno finisce alle cinque. A testa bassa passa accanto alla professoressa Piazzi. A discorrere animatamente con la docente c'è la madre di Marziano detto Nino.

Il ragazzino è seduto sui gradini d'ingresso, vicino c'è Tiziano, il fratellino di sette anni. Contrariamente ai bambini della sua età, Tiziano tiene moltissimo a portare da solo il suo zaino, l'ha saldamente ancorato alle spalle. Sta raccontando al fratello ciò che gli è successo a scuola.

TIZIANO: (alzando le braccia, voce da topolino di campagna) Allora quello m'ha fatto vedere il pisello e io gliel'ho detto alla maestra... mi voleva fare la pipì addosso.

Marziano tende l'orecchio con la speranza di recepire alcuni frammenti del colloquio tra la madre e l'insegnante. Le donne sono alle loro spalle, Nino non ha il coraggio di voltarsi, figuriamoci d'intervenire nella conversazione.

La voce da termosifone spento della madre rimbomba per il cortile. Inutilmente la Piazzi cerca di portare la donna alla calma. Diremo che non è proprio da lei reagire in modo così plateale. Ma c'è un motivo che può senz'altro giustificare il temperamento infuocato della donna. Oggi, venerdì 13/11/2000 è il suo compleanno. Compie trentasei anni. Il marito, l'ha sempre abituata a renderle quel giorno un avvenimento speciale. In casa Sant'Uomo il comandamento "ricordati di santificare le feste", viene applicato anche per i compleanni, anzi, soprattutto per i compleanni.   Per suo marito queste sono tradizioni   irrinunciabili.

Nino lo sa bene. Non poteva certo immaginare che, la semplice caccia ad un ratto, avrebbe rovinato la festa della madre.

PIAZZI: (conciliante, amaramente pentita d'aver chiamato la donna. Essere ligia al proprio dovere d'insegnante le è andato sinceramente a noia) Signora, dico solo che...

MADRE: (sforzandosi di reggere l'intera conversazione in un italiano accettabile) Ma se non lo volete punire, perché allora armà... (ci pensa su) armare tutto stò casino!

PIAZZI: (esasperata dalla sfrontatezza della donna) ma quale casino   signora! Il custode è in ospedale! È un fatto che non le si poteva nascondere. (riacquista a fatica la pacatezza persa) E se Manlio l'avesse fermata per strada o all'uscita della scuola mettendola lui stesso al corrente di tutto? Come ci sarebbe rimasta?

MADRE: (accendendo occhi fieri. Orgoglio simile a quello che i porci nutrono nei confronti delle loro perle. Tono secco e frizzante) Nino me l'avrebbe detto. Con i miei figli ci diciamo tutto.

Sinceramente, sarebbero cascate le braccia persino alla dea Kalì. La professoressa è rassegnata e accetta la sconfitta, non prima però di affondare un ultima pugnalata nella carne della donna.

PIAZZI: (sorridendo) signora, lasciamo stare... però la faccenda non è da prendere sotto gamba... e se il custode ci fa causa?

MADRE: (morsa dalla tarantola, scuote spalle, alza braccia, muove ogni parte del corpo) e a chi fa causa? A voi! A voi fa causa, che centro io!

Non fa una grinza. Ciò che ha detto la signora è sacrosanto. La scuola è responsabile, la Piazzi ingoia il peloso rospo. Non è riuscita neanche a metterle un briciolo di paura. Negli ultimi anni ha perso il prestigio del suo ruolo e con esso, il "controllo" che da sempre ha esercitato sui genitori dei suoi alunni. All'opposto, sono quest'ultimi che ancora portano il giusto rispetto agli insegnanti. Si sa, i ragazzi sono più sensibili e recettivi agli stimoli. Forse genitori d'un altro quartiere le avrebbero dato il giusto credito... rimpiange sempre i sette anni trascorsi a Monteverde dal 1982 al 1989. Entrò in questa scuola   proprio nell'anno di nascita di Nino e di gran parte dei suoi compagni.

Dovette cambiare scuola dopo la separazione dal marito. Vivevano a Monteverde, precisamente in via Poerio, con la madre di lui. Dopo cinque mesi di nervosa separazione in casa, Piazzi trovò un appartamento in affitto a Montespaccato. Il trasferimento arrivò quasi un anno dopo. E così, la vocazione per l'insegnamento della donna, si è andata anno dopo anno spegnendo. Ancora non demorde e sarebbe stupido farlo, le mancano dodici anni buoni per raggiungere l'età minima di pensionamento.

La madre di Nino, più controllata, è pronta a tirar fuori il suo orgoglio di mamma - lavoratrice - romana onesta e di sana famiglia. Impercettibilmente tira su col naso, stringe i pugni dalle subitanee nocche rosse e chiama in causa il figlio.

MADRE: (occhi febbrili, ora docili, voce ferma) Nino, vieni qui a mamma.

Nino dà le spalle alle due donne ancora per qualche istante. Si segna rapidamente. Il fratello lo guarda serio.

TIZIANO: perché ti fai il segno della croce?

Tiziano è il solo della sua famiglia che, non soltanto si sforza di parlare in italiano, ma ci riesce pure.

NINO: (sussurrando) fatte i cazzi tua!

Gli occhi di Tiziano si ingravidano di furore. Stringe i pugni, capisce che gli conviene sprofondare nel silenzio, l'atmosfera non è delle più leggere.

Marziano si alza, lo zaino è "parcheggiato" ai suoi piedi, si volta, sale tre scalini dirigendosi dalle due.

Nella scena del massacro, Nino s'era segnato perché intendeva render sacra l'esecuzione del suo nemico. Adesso è la propria salvezza che gli sta a cuore.

Si ricorda d'aver sentito in classe qualcosa riguardante la legge del taglione, fu proprio la Piazzi a parlarne.

Introduciamo allo spettatore due terminologie di natura cinematografica: il flash- forward ed il flash- back. Di quest'ultimo bene o male, ne abbiamo sentito parlare. Tutti sappiamo che il flash-back è una interruzione della successione cronologica del racconto per rievocare un episodio passato.

Il flash-forward invece si basa sul principio opposto. Anche questa tecnica serve ad interrompere la successione cronologica del racconto, ma per anticipare una scena che si svolgerà nel futuro. Il flash-forward viene utilizzato anche per mostrare allo spettatore visioni, allucinazioni, fantasticherie e sogni ad occhi aperti dei vari personaggi. Ve ne diamo subito un assaggio:

FLASH-FORWARD: la madre di Nino e la Piazzi, raccolgono da terra sassi di notevoli dimensioni, li tirano mirando la testa di Nino. Il ragazzo si protegge incrociando le braccia davanti agli occhi. Le donne lo lapidano con la stessa freddezza con la quale, appena due ore prima, Marziano ha accoppato la sua vittima-ratto.

RITORNO AL PRESENTE: Nino s'accosta alla madre, la guarda intimorito. Non è una donna violenta. Passionale, forse un tantino nevrotica, quello si, ma non una violenta. Ciò non toglie che Marziano nutra profonda paura. È convinto che, tornati a casa, sarà la madre a distruggerlo di schiaffi.

La donna, con la mano destra, afferra la spalla del figlio. Ciò che di primo acchito può sembrare un gesto di comprensione e conforto è in realtà una camuffata aggressione, gli sta di fatti stritolando una spalla. Marziano mangia la foglia.

MADRE: (teatrale e patetica scenetta da mamma comprensiva) senti Nì, domani, quando torna Manlio, gli fai le scuse e gli spieghi la situazione.

NINO: (innocentemente) sempre se torna!

La madre torce la bocca e non toglie occhi d'ira dalla faccia di topo del figlio. Intanto, la torsione della mano sulla spalla aumenta di gran lunga la sua potenza.

La professoressa si rende conto della vera valenza del gesto. Non osa intervenire direttamente, cerca in ogni modo di freddare gli spiriti.

PIAZZI: (magnanima, come se stesse attingendo da un vecchio repertorio) l'importante è che Nino si sia reso conto dell'errore commesso, domani, se tornerà dall'ospedale, faremo entrambi le scuse a Manlio.

La madre lascia la spalla del ragazzino. Le parole della professoressa l'hanno profondamente rasserenata.

MADRE: (decisamente più dolce) caso mai, domani faccio un salto anch'io a salutare Manlio.

L'idea di un ipotetico incontro tra Manlio e sua madre, sconvolge Nino dal più profondo dell'anima e delle viscere. Di fatti, si sta letteralmente defecando addosso. Lo spettatore non può sapere quanto questi tre personaggi (Nino, Serena e la Piazzi) godano, meschinamente e tacitamente, per la sfortuna capitata a Manlio. D'altronde come dar loro torto, vendette trasversali di così prodigiosa natura non capitano tutti i giorni, bisogna approfittarne.

Madre, figlio maggiore e figlio minore, salgono in auto, trattasi d'una seicento grigia dalla carrozzeria tutta rigata. La donna non è un esperta guidatrice, ha ricevuto più colpi la sua seicento che una vettura per le auto a scontro.

Ci accorgiamo con rammarico di non esserci troppo soffermati sull'aspetto fisico della madre. Illuminiamo lo spettatore dicendo che, la donna non ha nulla di attraente, ossia, nulla che possa attrarre un uomo colto da sessuali appetiti. È bassa un metro e sessanta circa, occhi neri e capelli dello stesso colore, sfibrati e lunghi sino alle spalle. Gravidanze e deliri gastronomici l'anno ingrassata progressivamente. Ha i fianchi larghi, i seni sono grandi e cadenti. Ecco, forse i seni sono la sua unica attrattiva, sempre secondo l'opinione di quel tipo di uomini poc'anzi citato. Il viso è devastato da perenni borse sotto gli occhi. Ha un'espressione continuamente seria, al contempo tenera, da ragazza cresciuta troppo in fretta. S'è sposata a ventiquattro anni e a venticinque ha avuto Nino.

Fino a quindici, sedici anni fa, essere genitori a poco più di vent'anni, era considerata prassi del tutto normale. Oggi con la nostra metropolitana concezione della vita, avere un figlio prima dei trent'anni rasenta la follia pura. Sindromi di Peter Pan, percorsi di lauree che durano decenni, il precariato mai in fase calante e l'eccessivo costo della vita sono soltanto scempie giustificazioni. Quello che blocca i giovani è l'odierna paura ad occuparsi di un altro essere vivente, paura che si sta trasformando in vera fobia collettiva. Ma non è questa la sede per aprire un dibattito sul problema.

In auto vige silenzio. La donna infila nervosamente le chiavi, accende il quadro, ma non il motore. Nino, seduto vicino al conducente, allaccia la cintura di sicurezza con estenuante cautela, come se stesse armando un detonatore pronto ad esplodere. Purtroppo è ben altro ad esplodere che una semplice bomba...

MADRE: (socchiudendo gli occhi, tenta invano di appellarsi alla calma. Il tono della battuta è caustico, pieno di astio sublimato in innocuo sarcasmo) grazie per il regalo che m'hai fatto... grazie veramente.

Le parole fanno il loro immediato effetto. Nino è martoriato dal dispiacere. In primis perché, s'è momentaneamente dimenticato del compleanno della madre. In secondis, ma non per ultimis (concedeteci l'improbabile latinismo), Nino non si felicita affatto quando, per qualsiasi motivo, tradisce la fiducia dei suoi genitori.

Lo hanno educato al rispetto e all'onestà e Nino ha colto prontamente il valore delle nozioni impartite. Ciò non toglie che suo grande divertimento è correre dietro a relativi pericoli demarcando di conseguenza gli affascinanti confini del proibito.

Nino prova ad abbozzare un discorso di scuse, questo non basta a placare la madre. La donna si sta soltanto scaldando.

MADRE: (letale ed incalzante) me ne frego se stavi a rincorre un topo, un gatto o un coccodrillo...

TIZIANO: (da dietro il sedile, serio, in tono di rimprovero) mamma, i coccodrilli non vivono a Roma, ma a New York! Come fa a rincorrere un coccodrillo!

MADRE: (sforzandosi di essere gentile con Tiziano) a mamma era un modo di dire. (cambiando bruscamente tono rivolta a Nino) Comunque nun dovevi rompe quella cacchiarola de finestra!

NINO: (polemico, squittendo) e che l'ho fatto apposta!

MADRE: (sbavando rabbia) Zitto! (pausa da suspense) A tu padre nun gliè se dice gnente...

La decisione della donna seda le ansie di Nino. La frase però non è ancora finita...

MADRE: ...non oggi. Domani glielo dico io. Oggi dovemo andà in pizzeria, non rovinamo tutto, che poi lo sai... è come se fosse er compleanno de tu padre, mica er mio.

NINO: (conciliante) lo fa co tutti.

MADRE: (sulla riga del figlio) appunto.

NINO: (docile e preoccupato) dovemo pagà noi?

MADRE: (decisamente più calma) no. La scola è coperta dall'assicurazione... pure coso là...

NINO: Manlio.

MADRE: sì.

NINO: ma davero gliè vai a parlà?

MADRE: poi vedemo.

Tiziano, seduto di dietro, si fa avanti ficcando la testa tra i due sedili anteriori.

TIZIANO: (quasi urlando) prima Nino ha parlato in romanaccio!

MADRE: (stancamente) e che ha detto?

TIZIANO: (inorridito) fatte i cazzi tua!

La madre abbozza un sorriso, mette in moto e fuoriesce dal parcheggio.

A Tiziano più che gli insulti, lo infastidisce il parlare in "romanaccio". Cosa che tra l'altro rimprovera al fratello e non al resto dei suoi familiari adulti - quali la madre e la di lei sorella - come se i bambini dovessero parlare in italiano finché sono ancora piccoli, tanto hanno tutto il tempo per sporcarsi la bocca con il romano.

Il papà dei fratelli è pugliese. Non esprimendosi quindi in "romanaccio", a Tiziano sembra che il padre parli in corretto italiano, seppur alterato da una cadenza del tutto particolare.

Arrivano a casa dopo aver attraversato cinque minuti di via Cornelia, la via che separa la borgata in due. Visto dall'alto infatti, il quartiere sembra un grosso colle spezzato, rotto a metà. Pur non essendo un vero colle è comunque un posto situato in zona collinare. Ecco spiegata l'origine del suo nome, Montespaccato.

La famiglia Sant'Uomo abita in una parte della borgata denominata Reina. Prende il nome da un piccola piazza, piazza Reina appunto, importante perché vi si trova la caserma dei carabinieri. Altro punto d'attrattiva della piazza è la tabaccheria di Vincenzino, salito alle cronache per aver venduto qualche anno addietro, una giocata miliardaria del Superenalotto. Con i proventi del premio recepito, si è ristrutturato l'intero negozio, i maligni dicono che anche la moglie si sia fatta fare una bella ristrutturata. Noi non siamo qui per dar adito alle malelingue, procediamo dunque con la narrazione.

L'appartamento dei Sant'Uomo è al terzo piano d'una palazzina alla fine di via Alessandro Guidiccioni, strada anch'essa lunga; è una delle vie che porta a piazza Reina. La donna posteggia l'auto sul lato destro della strada. Tira il freno a mano.

NINO: (timoroso, sbatte ipocriti occhi impauriti) me meni?

La donna lo guarda attenta, con l'aria di chi stia valutando un allettante proposta. Senza mutare espressione, si sgancia la cintura di sicurezza, Nino la imita.

MADRE: (con voce divertita, solo la voce però) se te meno che ho risorto? Io me faccio male alla mano e te non capisci uguale, non capisci mai te...

Nino non comprende che l'affermazione della madre è una sottile frecciatina pedagogica. Ascoltare tali parole lo avvilisce enormemente, è convinto che ora innanzi la madre, a causa dell'incidente del custode, non nutrirà mai più stima nei suoi riguardi. Convinzione decisamente falsa e perniciosa.

Salgono le scale a piedi. Il palazzo è di quattro piani, non ha l'ascensore. Ogni piano ha un appartamento. Al primo ci vive la signora Maria, una vecchia bisbetica rimasta vedova da cinque anni. È lei la padrona di casa dei Sant'Uomo.

Il palazzo è suo e del fratello, il signor Alberto, un grassone alcolizzato sposato da quasi trent'anni con Alberta (strano ma vero), altra grassona non alcolizzata, bensì sindacalista. Con loro vive il figlio minore Sergio, elettrauto in procinto di sposarsi. Tina, la primogenita, occupa il terzo piano, è sposata con un metalmeccanico in cassa integrazione, bravissimo ragazzo e degno padre di famiglia, hanno due bellissimi bambini che urlano come colombe isteriche. È triste dirlo, ma il signor Alberto odia i nipoti, viceversa, i nipoti odiano il nonno.

I Sant'Uomo vivono qui da più di dieci anni, pagano un affitto basso, senza contratto e nessuno gli ha mai creato problemi. Questo non è da attribuire alla pacatezza dei condomini, bensì all'austerità che emana il padre di Marziano, Antonio. A proposito, eccolo che compare sulla soglia...

Appena lo vede, Nino sorride e gli si butta addosso, lo stesso fa Tiziano con infantile furore. La madre va loro dietro chiudendo la porta alle spalle.

I bambini, come sono soliti fare, gettano gli zaini a terra e seguono il padre in cucina. La madre nemmeno s'azzarda a sollevare gli zaini, l'istruzione ha un suo peso considerevole, più tardi costringerà i bambini a farlo.

Tiziano apre il frigorifero e tira fuori un barattolo di mousse al cioccolato, gentilmente, malgrado non se lo meriti, ne prende uno anche per il fratello. Senza spiegazione, Marziano afferra il fratellino per il collo e gli pianta un bacio sulla guancia. Il padre sorride, poi ritorna al lavello. Stava facendo i piatti.

PADRE: (voce soave da baritono, cadenza pugliese da tenore)  è proprio il compleanno di tua madre eh... oggi non vi scannate?

Antonio è una figura di greca bellezza. Non supera il metro e settanta, moro, gravemente stempiato sul davanti, muove con nobile fierezza il suo naso aquilino. Lo ammiriamo in tenuta da casa: maglietta bianca a corte maniche, pantalone da tuta interamente blu, ciabatte da piscina, calzini bianchi.

Snello, intravediamo il corpo asciutto e allenato da ore passate sulla bicicletta, sua grande passione. Da notare le cosce di considerevole spessore. Toste alla vista come, si presume, al tatto. La moglie è sempre stata fiera della figura del marito, fiera e dannatamente gelosa.

Antonio è scuro di carnagione come Marziano, Tiziano ha invece ereditato la lattiginosa evanescenza della mamma.

Antonio ricorda proprio quelle figure nere di guerrieri che si vedono sopra piatti e vasi dell'antica Grecia o di qualsivoglia civiltà.

ANTONIO: (voltandosi di tre quarti) Serena!

Rapidamente la donna lo raggiunge, stava nell' altra stanza.

ANTONIO: (dedito interamente ai piatti) a che ora hai detto per la pizzeria?

SERENA: (apre il frigorifero per prendersi una bottiglia d'acqua) alle otto e mezza.

Antonio ci ha finalmente svelato il nome della donna, Serena, Serena Abruzzelli coniugata in Sant'Uomo.

Serena s'è avvicinata al marito per prendere un bicchiere dalla credenza, situata proprio sopra la testa del consorte.

ANTONIO: dobbiamo andare a prendere tua sorella?

SERENA: no, viene con uno nuovo.

ANTONIO: ah...

La famiglia è ormai avvezza ai continui cambi di partners della sorella di Serena. Uomini di mista levatura che si susseguono come l'avanzare dei giorni. Trova ogni occasione per presentarli ai propri genitori oltre che alla sorella. Marziano una volta ha ipotizzato che la zia cambia uomo perché in realtà quello che cerca è un autista che la scarrozzi in giro. Al contrario di Serena, la donna non ha mai preso la patente.

A causa della teoria del fratello, Tiziano è convinto che gli uomini che circondano la zia siano autisti veri.

I bambini gettano nella pattumiera il barattolo della mousse. Entrambi sfoggiano un indecorosa barba di cioccolato, è loro costume bere la mousse direttamene dal vasetto, il cucchiaino non lo sfiorano nemmeno.

SERENA: (rivolta ai bambini) puliteve un po'...

All'unisono si strofinano le mani sulla bocca, la barba è presto tolta, rimane però l'eccesso di cioccolato sulle dita e sui polsi. Non sanno come disfarsene, trovato uno strofinaccio vi ci spalmano le mani sopra con grande soddisfazione.

SERENA: (contrariata) ma che schifo fate? Tanto c'è sto io che lavo!

NINO: (provocatoriamente) e n'do se pulimo!

SERENA: (nera) non ricomincià sa!

ANTONIO: (abbandona un attimo i piatti, si rivolge alla moglie con severa quiete) perché c'ha fatto?

SERENA: (più calma) gnente...

TIZIANO: (eccitato) ha ammazzato un topo.

La donna fulmina il bambino con lo sguardo, Nino per poco non scoppia a ridere.

ANTONIO: (sorpreso) come un topo?

Marziano è pronto ad intervenire per prevenire eventuali danni.

NINO:(divertito) l'ho ammazzato davanti a scola. Era grasso così (allarga le braccia sproporzionatamente)

ANTONIO: (schifato) e la madonna! Ma tu pure fatti i fatti tuoi! Che vai ad ammazzare le bestie!

Serena trascina il piccolo al bagno con la scusa di lavarlo, ha il timore che possa rivelare l'intero accaduto.

ANTONIO: (ritorna dai piatti, ad alta voce) ma mo' gli devi fa la doccia!

SERENA: (voce alta, dal bagno) e quanno... poi dopo se lavamo tutti insieme e nun uscimo più!

Nino ha afferrato la bottiglia d'acqua che la madre ha posato sul tavolo, ci si attacca sporgendo i denti. Sa che al padre da fastidio quando si beve direttamente dalla bottiglia, ma l'uomo è di spalle, non può vederlo.

ANTONIO: (voltato, ironico) ma te devi per forza attaccare!

Sfortunatamente il ragazzino ha fatto troppo rumore nel manovrare la bottiglia di plastica.

Antonio, finito di sciacquare le ultime stoviglie si volta, sorride sornione.

ANTONIO: (con soddisfazione) sai chi è ricoverato da noi?

Ancora non è stata data delucidazione alcuna sul lavoro dei genitori di Nino.

Il padre è infermiere all'ospedale San Camillo, reparto gastroenterologia, la madre è centrista al Forlanini, altro ospedale appartenente all'azienda ospedaliera del San Camillo di Roma. Si sono conosciuti al reparto di terapia intensiva quasi quattordici anni fa, anche lei è infermiera, poi per una serie fortunata d'eventi è riuscita a passare al centralino del Forlanini più di sei anni fa.

Oggi, Antonio ha lavorato di mattina, per questo i bambini l'hanno trovato a casa, Serena invece è di riposo.

Marziano riflette sulla domanda del padre, certo deve trattarsi di qualcuno famoso, magari un giocatore, spara un nome a caso.

NINO: Cassano.

ANTONIO: (sorpreso) Quasi! È il padre di Cassano che è ricoverato.

NINO: (seccato) me stai a pià pe culo.

ANTONIO: (ignorando l'espressione del figlio)  è vero! Cassano però ancora non l'ho visto, il padre s'è ricoverato sta mattina.

NINO: (di colpo elettrizzato) allora portame un autografo.

ANTONIO: quando lo vedo sì.

Mostriamo ora allo spettatore l'appartamento. Partiamo con la nostra telecamera dalla porta d'ingresso. Subito a destra, troviamo il bagno, è chiuso da una porta scorrevole in legno, tinta malissimo di beige. Di fronte v'è la cucina, la porta è a vetri.

Entrando godiamo della grandezza della stanza, soffitti alti, come in tutto il resto della casa. Gran parte dei mobili, dalle dispense alle mensole, sino ai cassetti è d'un umido legno di compensato, rivestito da carta adesiva che viene cambiata almeno una volta all'anno da Serena.

Affacciamoci pure al balconcino posto in fondo, ammireremo l'ampio paesaggio. Da qui la borgata appare su due livelli. La parte sovrastante, quella posta sul "monte" (abbiamo già detto che il quartiere è in zona collinare?) è un cumulo di case disposte a caso. Si scorgono cortili, finestre, balconi, panni stesi... Nulla pare avere ordine. Si può dire che la borgata è stata generata da una specie di "Big-Bang" edilizio. Colpa dell'inarrestabile abusivismo post bellico, ancora oggi sembra non essere passato di moda.  

Il "livello inferiore" è a valle del quartiere, dominato dalla grande Via Cornelia.  

A est, a chilometri e chilometri di distanza, si scorgono i suggestivi monti dei Castelli Romani. Di notte, si ammirano le loro luci brillare come oniriche lucciole di spettro chiaro. Prima dei castelli si distingue, sempre a notevole distanza, un tratto di raccordo stradale. Per quanto sono lontane, le auto sembrano lumache senza forma, compiono il proprio percorso con meticolosa indolenza.

Particolare sorprendente del pittoresco paesaggio, è la notevole macchia verde dedicata alla pastorizia. In passato Monte Spaccato era per lo più campagna, pura e selvatica, come la maggior parte della periferia romana. Vedere pascolare liberamente pecore e mucche a poca strada dal complesso urbano, è spettacolo di pericolosa ed infantile melanconia.

Torniamo pure dentro, usciamo dalla cucina e svoltiamo a destra, accendiamo la luce perché dobbiamo attraversare un lungo corridoio buio.

Qui finestre non c'è ne sono, raramente la luce del sole arriva a illuminarlo in tutta la sua interezza. Una volta si usava costruire gli appartamenti dotandoli di questi lunghi corridoi che a nulla servivano se non come posteggio di macchine da cucire, librerie, cassapanche, scarpiere, specchiere, ad altri mobili affini. Antonio ne ha approfittato per posteggiarvi la sua bicicletta, quelle dei bambini sono state messe fuori ai balconi.

Arriviamo alla fine del corridoio... C'è un'altra stanza, la porta, anch'essa a vetri è chiusa. Apriamola, quasi non possiamo entrare dentro. Quello che, a prima vista, sembra uno sgabuzzino è in realtà la cameretta dei bambini. Entriamo con cautela e chiudiamoci la porta alle nostre spalle. Il mobilio è tutto ad incastro.

A sinistra, contro la parete, troviamo una pendente libreria in ferro, lievemente impolverata. A destra sempre premuto contro la parete, v'è il letto a castello in vimini. Vicino la libreria abbiamo una scrivania e, a fianco, un armadio sempre in vimini; vicino al letto, una cassettiera del medesimo materiale. In fondo, sotto la finestra c'è la cesta dei giocattoli, che non è di vimini bensì di plastica.

La disgraziata idea di far entrare tutta quella roba in dieci metri quadri di stanza è stata della madre. Voleva che i figli avessero "uno spazio attraverso il quale manifestare il proprio io-ludico". La frase l'aveva letta in un articolo pubblicato su una rivista per donne.

La stanza è per lo più di Nino, Tiziano preferisce fare i compiti in soggiorno, o buttarsi sul tappeto in corridoio, a giocare.

Rimangono da vedere altre due stanze, saremo veloci, anzi telegrafici, come inserzionisti immobiliari. Soggiorno: ampia metratura, lampadario in ferro battuto con rifiniture in legno, comprato a Porta Portese; televisore posto in fondo; vetrine in legno vecchie dodici anni comprate a una svendita, lucidate infinite volte con chili di coppale da Serena, restauratrice a tempo perso; divano letto posto al centro della stanza, braciole e gambe rigorosamente bucherellate dalle tarme, anch'esso più volte ristrutturato dalla donna; due balconi, uno laterale che affaccia sulla strada interna e uno frontale: da qui i Castelli, col raccordo e pezzi sparsi di campagna, sono maggiormente visibili.

Camera da letto: finestra posta frontalmente, a destra letto matrimoniale con comodini in legno, anche questi comprati alla svendita poc'anzi citata; largo armadio addossato alla parete, cinque ante, legno truciolato laccato con smalti e decorato con fiori, opera sempre della donna.

L'intero appartamento, che ha un metratura di novanta metri quadri, è sprovvisto di riscaldamento autonomo. La padrona di casa, assieme al fratello si rifiutano di sobbarcarsi le spese d'impianto. Tutta la palazzina è senza riscaldamento.

La palazzina è stata costruita a metà anni cinquanta dal padre dei fratelli Maria e Alberto, un certo Ugo.

L'appartamento è quindi scaldato da una stufa a cherosene, e una stufetta a gas mobile. Almeno una volta l'anno, gli angoli del soffitto vanno riverniciati, per via delle macchie di muffa create dall'umidità. Proprio sopra, vi è una terrazza che non usa nessuno. Serena ha chiesto alla signora Maria il permesso per poterci stendere i panni, la padrona di casa non glielo ha mai accordato. La donna deve arrangiarsi con uno stendi-panni in lega, lo mette fuori al balcone del soggiorno; oppure stende in casa, rendendo l'ambiente simile ad un accampamento nomade. La signora Maria, si è capito, è una insopportabile megera.

Serena ha provato a chiedere il permesso anche al signor Alberto, dato che il terrazzo è d'entrambi, questo le ha risposto picche. In breve, Serena è stata costretta a desistere, non senza provare un delirante desiderio di strangolare tutti e due i fratelli.

Antonio non si è mai immischiato in queste faccende, anzi ha sempre cercato di limitare i rapporti con gli inquilini. Tutti lo salutano con rispetto, lui con sguardo serio ricambia accennando ad un sorriso fatto a mezza bocca. È sempre Serena che scende dalla padrona per pagare l'affitto.

Se ancora rimangono in questa casa, è soltanto per le spese relativamente basse. Hanno pensato molte volte di comprare casa, dentro Roma non conviene, dovrebbero spostarsi fuori, per esempio a Zagarolo, dove abitano i nonni materni di Nino. I bambini dovrebbero cambiare scuola e i genitori fare i pendolari. Sicuramente in auto ci impiegherebbero di meno facendo la tratta Zagarolo-San Camillo che non Montespaccato -Gianicolense, zona dove si trova appunto l'ospedale.

È giunta sera, sono le ore 18,45.

Nino è in salotto, sdraiato sul divano guarda un cartone animato in TV.   Tiziano è seduto per terra, la schiena contro i piedi del divano. Seguono il programma con occhi rossi e gonfi. Entra la madre con una bacinella colma di bucato fresco, lo stendi-panni è dentro, vicino alla finestra, la stanza è impregnata d'umidità.

SERENA: (seccata, comincia a stendere il bucato con rapida precisione) Vatte a lavà, è la quarta vorta che te o dico!

TIZIANO: (indispettito) l'ho fatta prima la doccia, non ti ricordi!

SERENA: (secca) non te, tu fratello!

Nino non ne vuole sapere di scrostarsi dal divano.

Serena è alle loro spalle, con energica voluttà prende consapevolezza dell'incorreggibilità del figlio.

SERENA: (minacciosa) se non te vai a lavà vedi te, altro che Manlio...

A sentir pronunciare quel nome, Nino si scuote angoscioso dal suo televisivo vegetare.

Lancia un'ultima occhiata al programma e si alza raggiungendo la madre.

NINO: (ficcandosi le mani in tasca) gl'hai detto gnente a papà?

SERENA: (alzando preoccupata gli occhi in direzione della porta) shhhh... (sussurrando)   guarda che sta de la, te po sentì.

Il ragazzo poggia il didietro sul tavolo del soggiorno.

SERENA: (agitandosi) e togliete da lì, come te lo devo dì che s'è tiene co lo sputo!

Il tavolo, di fatti, traballa. Si tratta d'un pezzo di buona falegnameria. Il tondo piano poggia su di un perno troppo lento. Antonio ha provato a metterci mano, senza però ottenere risultati. Serena, presa da una delle sue smanie ristrutturatici,   ha cercato di spennellare il mobile con qualche chilo di coppale. Antonio l'ha fermata appena in tempo, il tavolo è uno dei pochi ricordi che gli rimangono del padre deceduto qualche anno fa.

SERENA: (a voce bassa, cambiando tono) no, non gl'ho detto gnente....

Nino alza i tacchi delle pantofole che calza e raggiunge la porta.

SERENA: (finto offesa. Occhi da cerbiatta con la zampa nella tagliola) manco l'auguri m'hai fatto!

NINO: (voltandosi di scatto) Sì che te l'ho fatti!

SERENA: (come sopra) Ma perché, se devono da 'na vorta sola?

NINO: (col fare di chi si volesse scusare) Ah, sì...

S'avvicina alla madre e le infligge uno schiocco di bacio vicino all'orecchio.

SERENA: (urlando) Ahia! M'hai fatto squillà l'orecchio.

TIZIANO: (sbucando con la testa da dietro il divano) come fa a squillare?

NINO: (scettico, da uomo vissuto) no, è un modo de dì!

SERENA: (animata da spirito persuasivo, rivolta a Tiziano ) non è un modo di dire. Se uno ti bacia sopra l'orecchio ti fa squillare il timpano, perché ti fanno pressione sopra.


[FINE SECONDA PARTE]

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